giovedì 14 aprile 2022

Nel nero degli abissi. Un'indagine per i Cinque di Monteverde di Francois Morlupi

 

Il grande parco di villa Pamphili, a due passi dal Vaticano e da Monteverde, ha due volti molto diversi: di giorno è un giardino che accoglie bambini, anziani e sportivi; di notte si trasforma in un rifugio abusivo per senzatetto, drogati e prostitute. All’alba di una gelida mattina di gennaio, una di loro viene trovata senza vita, brutalmente uccisa con un’arma da taglio. Era italiana, aveva poco più di vent’anni, era una ragazza sola, si vendeva per pagarsi l’università. L’omicidio sconvolge il commissario Ansaldi e i suoi agenti, perché apre uno squarcio di disperazione nella tranquilla routine del loro quartiere. In più, arriva proprio nel momento peggiore, a due settimane da un importante vertice politico tra i principali capi di Stato europei, con gli occhi del mondo puntati sulla capitale. Che ci sia o no un legame tra i due eventi, per il commissario è appena iniziata una terribile corsa contro il tempo.




Francois Morlupi, dopo il brillante esordio con "Come delfini tra pescecani", conferma tutte le sue abilità stilistiche nello scrivere un noir "fuori dagli schemi" soprattutto per la complessità descrittiva dei suoi protagonisti dai quali emerge, non sicurezza e determinazione, ma una serie di limiti e debolezze che alla fine contrastano giocando con i ruoli di ognuno, permettendo di risultare più empaticamente vicini al lettore che assorbe la loro naturalezza e ironia attraverso una narrazione che scorre in maniera spedita anche perchè, con molta maestria, l'autore è capace di smorzare i toni nelle fasi più "confuse" di un indagine che per molti aspetti viene intensamente percepita come reale e anche, per le sue sfumature, purtroppo abbastanza vicino al nostro quotidiano.

La storia si svolge nella Capitale, dipinta attraverso i colori dei suoi quartieri, attraversando parchi e strade, valorizzando da una parte il suo fascino e dall'altra mettendo in luce anche gli aspetti più sgradevoli di una città invasa da sporcizia, prigioniera del traffico e schiava di delinquenza e prostituzione. 

Sarà proprio con il ritrovamento di una giovane prostituta uccisa in maniera brutale che inizieranno le indagini per i cinque di Monteverde, alle prese ancora una volta con un caso difficile, ancor di più pressati da un contesto in continua fibrillazione per un prossimo vertice politico che richiedeva rigore e tempi strettissimi nel chiudere il caso. 

Già dalle prime battute si percepisce la difficoltà per i cinque  nel risolvere un delitto che, non solo aveva destato la tranquillità di un quartiere, ma che si presentava anche più complesso perché c'erano davvero pochi indizi a cui aggrapparsi che, oltre a portare verso un punto morto l'indagine, non sembravano apparentemente collegati a nessuna delle persone coinvolte ; il fiato sul collo dei superiori e la necessità di chiudere in fretta un caso "spinoso" trascineranno i nostri protagonisti verso una corsa ad ostacoli contro il tempo, cercando di fronteggiare frustrazione e insoddisfazione non solo in ambito lavorativo.

In gran parte del romanzo domina una sensazione d'impotenza nei confronti di un killer che si prendeva gioco delle forze dell'ordine, divertendosi come il gatto con il topo, assecondando quel piacere perverso che non collimava però con la volontà di destabilizzare i poteri forti che invece, storditi e disorientati, sembravano pensare l'esatto contrario.

Nella vicenda possiamo facilmente ritrovare temi principali come odiorabbia e vendetta che l'autore addossa ad una società malata, non perfetta che a volte opprime fino a generare un male che il più delle volte era celato nelle parti oscure di persone insospettabili che invece, divincolate dalla moralità, schiacciate finivano per cadere nell'abisso inghiottite dal nero più profondo.

La scrittura di Morlupi risulta diretta, sempre semplice e molto vibrante, arricchita da un indole sarcastica che ben si completa con una narrazione che non conosce tempi morti; l'abilità dell'autore poi si manifesta nel giocare, sia con il lettore che con i suoi personaggi, portando su false piste, seminando indizi contraddittori che, prima spogliano le certezze, e poi diventano pezzi fondamentali per ricostruire un puzzle davvero intricato.

Il libro, attraverso un sali e scendi di sensazioni e colpi di scena, giunge alla conclusione dove prevale un dolce senso di amarezza per un finale che, oltre a spiazzare, sembra quasi non liberare "emotivamente" i nostri protagonisti, lasciando nel lettore anche parecchi dubbi su alcune sfaccettature dei singoli personaggi che, appena solo accennate durante la vicenda, solo adesso prendono colore e forma.

Davvero tanti complimenti sinceri al simpaticissimo Francois Morlupi (che ringrazio tanto anche per la dedica) che ancora una volta si rivela un autore capace di coinvolgere con le sue storie attraverso uno stile diverso e originale rispetto al genere, che sa conquistare il lettore, non solo attraverso i protagonisti, ma anche con una narrazione sincera che rispecchia la veridicità di un storia ricca di suspense e tensione, ben dosata e alternata a fasi dove emerge tutta l'ironia di un autore che sa mettere "alla berlina" i suoi personaggi a cui è facile affezionarsi perché resi più umani e sensibili agli occhi di chi legge.

 

venerdì 8 aprile 2022

Niente di vero di Veronica Raimo

 Prendete lo spirito dissacrante che trasforma nevrosi, sesso e disastri famigliari in commedia, da Fleabag al Lamento di Portnoy, aggiungete l'uso spietato che Annie Ernaux fa dei ricordi: avrete la voce di una scrittrice che in Italia ancora non c'era. Veronica Raimo sabota dall'interno il romanzo di formazione. Il suo racconto procede in modo libero, seminando sassolini indimenticabili sulla strada. All'origine ci sono una madre onnipresente che riconosce come unico principio morale la propria ansia; un padre pieno di ossessioni igieniche e architettoniche che condanna i figli a fare presto i conti con la noia; un fratello genio precoce, centro di tutte le attenzioni. Circondata da questa congrega di famigliari difettosi, Veronica scopre l'impostura per inventare se stessa. Se la memoria è una sabotatrice sopraffina e la scrittura, come il ricordo, rischia di falsare allegramente la tua identità, allora il comico è una precisa scelta letteraria, il grimaldello per aprire all'indicibile. In questa storia all'apparenza intima, c'è il racconto precisissimo di certi cortocircuiti emotivi, di quell'energia 

 


Chi può dire quale sia la parte più vera di noi??? Quale quella reale e quale quella che fingiamo di vivere agli occhi degli altri??

L'autrice, attraverso una narrazione ironica e dissacrante, "immola" i suoi ricordi personali per diventare stimolo, per trasformarsi in specchio attraverso il quale il lettore possa immergersi nell'oscurità di un vivere in perenne bilico tra essere e apparire.  

I ricordi familiari, raccontati con disarmante drammaticità e tormento, descrivono una cacofania affettiva frutto di una esasperazione dei ruoli genitoriali: una madre ansiosa e un padre iperattivo nel controllare la vita dei suoi cari conducono ad un educazione "particolare" che incita alla noia più totale, vietando la cose "più spericolate" come andare in bicicletta o nuotare.

Ecco che la nostra Protagonista, insieme ad un fratello super talentuoso (con il quale viene a patti fin da piccola), passa parte dell'adolescenza chiusa in casa per affrontare poi, in età adulta, le tempeste dei primi amori, delle vacanze mai fatte, lotte e sconfitte che affronta circondandosi di ogni finzione, necessaria per poter non vivere ma sopravvivere.

Questo romanzo di formazione, scritto in maniera schietta e auto ironica, dimostra come l'autrice sia figlia di una società che impone modelli dai quali però cerca disperatamente di staccarsi e combattere a colpi di "non", per esprimere quel un senso di ribellione verso tutto e tutti, perchè anche la "sovversione" può essere un bisogno da reclamare.

La prosa è composta principalmente da un monologo interiore profondo, cinico ma a lunghi tratti quasi commovente; il dialogo è sincero ma inquieto e si mantiene sempre lontano da un facile buonismo. Nell'insieme l'autrice con il suo stile riesce ad uscire fuori da quella inflessibilità specifica del romanzo classico, muovendosi bene fuori dagli schemi anche quando gioca, molto spesso, con le parole creando vere e proprie "divagazioni" linguistiche.

Nel libro non vengono risparmiati temi importanti: sesso, aborto, lutti e amicizie troncate sono presenti e vissuti con la consapevolezza  di una età adulta dove purtroppo ci si abitua a tutto, anche al dolore che entra nelle ossa e ci accompagna per parte della nostra esistenza; attraverso la sua esperienza personale l'autrice racconta una vita consumata dalla mezogna che, oltre a danneggiare il prossimo, frena la voglia di essere migliori, di prendere finalmente le sembianze di quello che solamente si finge.

Per l'autrice il ricordo diventa importante e sincero anche quando le varie sfumature ne oscurano i particolari, celando empaticamente solo quelli davvero importanti, a discapito di qualcosa che colpisce lasciando il segno; la memoria diventa cosi' come una sorte di roulette russa dove ad ogni giro si vince o si perde. 

Davvero tanti complimenti a Veronica Raimo che con il suo libro mi ha colpito e rapito attraverso pagine ricche di affettività distaccata e sofferta con le quali racconta il suo intimo senza filtri e senza pause, nemmeno quando attraversa ricordi dolorosi che riesce ad esprimere in maniera asettica perchè, una volta superati certi muri, è certamente molto più difficile raccontare e descrivere  la felicità, che rimane costantemente in bilico tra realtà e apparenza fino alle ultime pagine di una romanzo davvero molto coinvolgente e scritto con uno stile totalmente sincero e spegiudicato.

 

 

sabato 2 aprile 2022

Padri di Giorgia Tribuiani

 È un pomeriggio di primavera quando, con lo stesso corpo e la stessa età del giorno della propria morte, Diego Valli risorge. Si risveglia sul pianerottolo di quello che era stato il suo appartamento, tira fuori le chiavi, prova a infilarle nella serratura ma si trova faccia a faccia con il figlio Oscar, lasciato bambino e invecchiato ormai di oltre quarant'anni. Da qui, ha inizio una vicenda di riconciliazioni e distacchi, una storia intensa e sincera sul rapporto tra padri e figli e sulla necessità del perdono. Una volta riconosciuto il padre, Oscar affronta il comprensibile straniamento aggrappandosi alle incombenze della quotidianità, mentre Clara, sua moglie, non crede al miracolo e si oppone all'idea di ospitare in casa uno sconosciuto. A complicare le cose, si aggiunge l'arrivo di Gaia, la figlia della coppia, che torna nella città natale per trascorrere le vacanze. Di nascosto dalla madre, che è spesso via per lavoro, Gaia finalmente ha l'occasione di conoscere suo nonno: un uomo profondo, amante della musica, più simile a lei di quanto sia mai stato suo padre. Oscar, al contrario, scoprirà aspetti di Diego che non pensava gli appartenessero.




Giorgia Tribuiani ha scritto un romanzo che analizza le dinamiche tra padri e figli attraverso una vicenda di distacchi e riconciliazioni dove la necessità di perdono si fonde e confonde attraverso le piaghe di una amore cercato e dato forse troppo per scontato, che manifesta latente la sua incomunicabilità tra i personaggi che mantengono le distanze, fermi nelle loro convinzioni che non permettono di accogliere il bisogno di essere capiti, compresi e ascoltati senza dover rispondere.

Attraverso un espediente "fantastico" l'autrice riunisce dopo 40 anni un padre e un figlio dando vita ad un gioco di specchi che coinvolge con i suoi riflessi, tra ricordi e pentimenti, diverse generazioni a confronto drammaticamente distanti, con valori totalmente diversi che inevitabilmente conducono i protagonisti fino all'estremo arrivando allo scontro quando vengono raggiunti i limiti individuali.

Con bravura l'autrice riesce a divincolare bene la storia, fin dall'inizio, dalla necessità di giustificare quel mistero legato alla "rinascita" del protagonista, con l'intento di contenere l'intera vicenda all'interno di due interrogativi sui quali si basa parte della struttura narrativa del romanzo: "Si smette mai di essere padri? - Si smette mai di essere figli? "

Attraverso una prosa "fascinosa", ricca però di sentimenti confusi, la narrazione procede in maniera delicata tra alti e bassi; la scrittura risulta molto ricercata e sintetica dimostrando però tutta la maturità di un autrice che, oltre ad entrare nei pensieri dei suoi personaggi, riesce bene a tradurre nelle sue storie quel bisogno di raccontare un esperienza di vita vissuta e reale che, spinta dagli eventi, consuma in maniera radicale i suoi protagonisti che stravolti finiscono per trasfigurare la loro condizione.

Diego Valli vive un dramma esistenziale trascinando la sua persona alla ricerca di comprensione e compassione, cercando di togliersi di dosso angoscia nel reclamare spazio in un mondo che non sente più familiare.

Oscar è un figlio che cerca con tutte le sue forze di abbracciare una "seconda possibilità", compassionevole verso i propri errori e naufragando come padre contro le debolezze nascoste ad una figlia che, riconoscendo i suoi limiti, cominciava a guardarlo non più come padre ma come uomo.

Gaia, personaggio vitale per la ricostruzione narrativa, sembra essere l'unica a sfruttare la doppia occasione fornita dal destino per recuperare, non solo un nonno, ma anche quel padre da cui aspirava affetto e considerazione: attraverso i suoi occhi il lettore scopre le debolezze altrui arrivando fino alla radice di quella carenza nei confronti di una perfezione e infallibilità genitoriale che solamente un "atto di fede" poteva riequilibrare avvicinando verso l'approvazione e stima reciproca che poteva riconciliare ad un sentimento smarrito come l'amore.

In questo tracollo familiare emerge con prepotenza, attraverso pagine intrise di tensione narrativa, tutta la fragilità di un'equilibrio su cui poggia quella "normalità" artificiale creata per contrastare la frustrazione personale di fronte ai tanti errori e debolezze di una vita che, senza accettazione, rischia di essere trascinata nell'oblio dell'incomunicabilità.

Con il suo romanzo l'autrice testimonia quindi come l'accettazione possa arrivare solo dietro la comprensione e il perdono, capaci di colmare le assenze e le distanze generate il più delle volte dalla fragilità dell'intimo umano, incapace di comunicare trascinando nell'incomprensione legami familiari avvelenati più dalle parole non dette che da quelle dette; i ruoli così vengono disarticolati dalla loro forma ideale per giustificare la propria incapacità e nello stesso tempo irrazionalmente per pretendere quella perfezione dalle stesse persone che commettono gli errori, incarnandosi in pretesto o conseguenza.

Davvero tantissimi complimenti sinceri a Giorgia Tribuiani (che con vero piacere seguo fin dal suo esordio letterario Guasti ) perchè con il suo libro è stata capace, ancora una volta, di coinvolgermi attraverso dinamiche raccontate con dolore e rabbia ma espresse con empatia attraverso la voce di personaggi che, non nascondendo le loro fragilità, condividono quello smarrimento esistenziale di fronte a qualcosa di imprevisto o forse solo evitato; in particolare nel libro l'autrice traduce quel senso di angoscia subito nell'idealizzare la figura di un padre, considerato come infallibile, scoprendo poi che quella sua imperfezione non delude in quanto tale ma preoccupa di più perché rischia di diventare parte integrante nella vita di un figlio inabile a correggere gli stessi errori perché giustificato da una condizione precedente.    

 

Formule mortali di François Morlupi

 In una torrida estate romana, un anziano cammina nel parco di villa Sciarra, nell’elegante quartiere di Monteverde. Un odore tremendo atti...